Sgombro subito il campo da illazioni e sospetti: questo articolo non ha alcun intento celebrativo o nostalgico nei confronti del Ventennio. Voglio soltanto proporre alcune immagini di un ambiente all’interno degli edifici del Foro Italico e rendere omaggio ad uno dei più grandi architetti italiani del XX secolo, Luigi Moretti che, appunto, ha contribuito con opere di notevole valore alla realizzazione del complesso, oggi del CONI, voluto dal regime. In molti conoscono lo Stadio dei marmi, circondato da colossali statue; l’intimo e elegantissimo Stadio della Pallacorda, oggi dedicato a Nicola Pietrangeli; lo Stadio Olimpico che però era molto più bello nella versione originale perfettamente incastonato nel verde di Monte Mario. E poi l’Edificio H i cui lavori iniziarono sul finire degli anni Venti insieme al resto del Foro; la splendida  Casa delle Armi , degradata a tribunale per i grandi processi alle Brigate Rosse e restituita solo di recente al CONI,  in condizioni  pietose e inaccessibile al pubblico; e ancora il più recente complesso natatorio del CONI che, sebbene poco appariscente all’esterno, nasconde alcuni tesori architettonici di grande valore: mi riferisco, ad esempio, alla piscina pensile dove il Duce andava a nuotare. Un capolavoro ingegneristico e architettonico “appoggiata” com’è con il suo notevole peso su due edifici paralleli e pensata come un rigoroso peristilio romano sospeso, aperta verso il cielo con il tetto a vetrate scorrevoli e dove il bianco dominante genera una sensazione di leggerezza e ariosità.

Ma il soggetto di questo articolo è la Palestra del Duce inserita al piano superiore dell’edificio con la grande piscina coperta. La Palestra, progettata appunto da Luigi Moretti, è di ragguardevoli dimensioni e colpisce sia per il suo rigore stilistico, sia per la brillantezza delle sue soluzioni architettoniche contraddistinte in particolare da due grandi pannelli verticali in marmo che ne scandiscono gli spazi dando al contempo un senso di grandiosità all’intero ambiente, oggi deturpato da interventi degli anni ’70  con un’improbabile controsoffittatura e con la sistemazione a sala conferenze che alterano pesantemente il progetto originale.

Come per la Casa delle Armi anche in questo caso, il cambio d’uso di questi edifici e/o ambienti sembra voler rappresentare la debolezza politica e di identità di uno Stato che ancora oggi non riesce a far diventare storia un passato che oggi ha settanta anni e che, volenti o nolenti, qualcosa di positivo, in mezzo a tanti orrori, ha prodotto. La mia è un piccola voce ma sarebbe un bel regalo restituire questo patrimonio al popolo italiano.  Un patrimonio fatto non solo di opere d’arte ma anche di storie, di vicende umane, di momenti gloriosi per lo sport italiano, di storie poco note, di aneddoti sui tanti uomini grandi e piccoli che ne hanno attraversato la storia. La mia speranza è che questo patrimonio sia reso fruibile a tutti con aperture e visite guidate, magari su base mensile, pur nei limiti dettati dagli impegni e dall’organizzazione degli eventi sportivi.

Ci auguriamo che CONI e Ministero dei Beni Culturali possano e vogliano trovare fondi e risorse per restituirci una delle poche opere d’arte che il nostro Novecento ha saputo lasciarci.

Ringrazio mio fratello Gianfranco, che cura la realizzazione di impianti ed eventi sportivi della FIDAL, per alcune delle informazioni qui riportate.

 

 

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